Vai al contenuto

BacioChiMePare, Bocche Libere!

Solamente in queste ultime due settimane, nel silenzio più assoluto dell’opinione pubblica, abbiamo visto consecutivamente due aggressioni omofobe. Contestualmente, nello stesso arco di tempo, presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza, l’amministrazione capitanata dalla neorettrice Antonella Polimeni individua nella figura della magistrata Simonetta Matone il nuovo profilo per il ruolo di “Consigliera di fiducia”.
Ruolo, quest’ultimo, che, in base al “Codice di condotta contro le molestie sessuali”, risulta cruciale nello stabilire un rapporto con l* student* vittima di molestia o violenza nell’ottica di poter costruire quello spazio sicuro capace di permetterci di restituire le difficili esperienze di violenza che sui nostri corpi, o per i nostri corpi, viviamo.
Peccato che la suddetta Magistrata è rinomata per le sue idee a tutela della famiglia tradizionale e per le sue discutibili valutazioni sulle persone migranti. Le stesse famiglie che in questa pandemia sono state il primo spazio di violenza, di repressione e abnegazione delle nostre identità.
Fin da giovani, spesso a partire proprio dalle nostre case, poi come studentesse e student* proprio negli spazi della formazione che attraversiamo, nelle nostre scuole, negli studi dei nostri docenti universitari, quella che apprendiamo sulla nostra pelle è la normalità della violenza.
Perché quello che fin da piccol* dobbiamo imparare è che, se vogliamo sopravvivere, allora dobbiamo saper rimanere al nostro posto.
Perché nessun* si dice mai omolesbobitransfobico, ma se poi noi “vogliamo” essere “diversi” non possiamo sicuramente addirittura pretendere di essere rispettat* da chi non è pronto a vedere messi in discussione i criteri di rispettabilità che come Uomini e Donne dobbiamo tenere.

E invece noi siamo diverse, siamo frocieh, siamo favolose, siamo irriverenti, i nostri corpi non possono contenere le nostre identità. La normalità non esiste e noi non lasceremo che le nostre identità vengano ingabbiate, emarginate agli spazi che la nostra società benpensante reputa per noi più adeguati. Le strade e le piazze delle nostre città, i luoghi di lavoro, le scuole, le università che attraversiamo, sono anche i nostri spazi e non abbiamo timore a ricordarvi quanto possiamo essere F(e)rocieh, chiassose, colorate e irriverenti.

Quella a cui tutt* noi veniamo iscritt* fin da bambin* è la scuola della violenza.
Per cui non vi meravigliate se veniamo menate, bullizzate, escluse, ridicolizzate, emarginate e, se “siamo fortunate”, considerate al massimo come macchiette utili a fare colore e a farvi divertire.
Non vi meravigliate se per noi una legge non basta a farci sentire sicure per le strade che attraversiamo, siamo frocie mica cretine.

Vogliamo poter scoprire la nostra sessualità senza sentirci inadeguate, vogliamo poter scoprire la nostra affettività senza temere di essere pestate dalle nostre famiglie o dai nostri compagni di classe, vogliamo poter baciare chi ci pare, vogliamo avere la sicurezza che i consultori sui nostri territori siano presenti e attivi per svolgere il loro ruolo primario di cura di tutti gli individui, delle famiglie, delle soggettività non conformi, delle donne.
Vogliamo che questi siano spazi finanziati, territorialmente diffusi e punto di riferimento per tutte quelle persone che in questo modello di società si sentono sbagliate o vulnerabili, o semplicemente male.
Vogliamo che le scuole e le università siano presidi permanenti di ascolto e cura della salute psicologica de* giovani di questo paese.
Giovani che sono gay, lesbiche, bisex, asessuali, trans*, queer e ragazze;
Giovani che siamo noi.

Tutto questo non possiamo pensare si possa affrontare cambiando poche parole di una legge, senza gli strumenti adeguati di cura e di emancipazione culturale, senza i finanziamenti necessari, senza i servizi di cura psicologica garantiti negli spazi della formazione e nelle nostre città, senza tutto questo, non c’è legge che ci riconosca.

E’ a queste domande che noi pretendiamo risposte, e davanti a questa condizione non saremo disposte a tollerare la permanenza della magistrata Simonetta Matone in un ruolo così delicato nell’Ateneo più grande d’Europa.

Le nostre bocche sono libere, e continueremo ad agitarle, a farle mezzo della nostra irriverenza e della nostra identità che tanto vi imbarazza, a farle espressione delle nostre forme di amore più intime e personali, a farle strumento della nostra F(e)rocissima lotta, perché il cambio di direzione sia reale e sostanziato da misure strutturali a risposta delle esigenze che concretamente sui nostri corpi e sulle nostre identità viviamo.

E’ il momento di unire le nostre grida favolose, chiassose e impertinenti!